La lentezza della giustizia civile ha effetti negativi rilevanti sulla competitività e sulla propensione a investire. Uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio rileva deboli sintomi di miglioramento, dovuti però soprattutto a misure intese a limitare l’accesso alla giustizia, come l’aumento dei costi dei processi, che peraltro colpisce soprattutto chi debba ricorrere per piccoli importi. È in particolare ai “piccoli” che lo Stato praticamente nega o rende comunque assai difficile l’accesso alla giustizia. Non vi sono canali efficienti come le “small claims courts” americane. Gli indicatori di efficienza – capacità di smaltimento dell’arretrato e durata media dei processi – mostrano grandi differenze tra tribunali, con i migliori al Nord e i peggiori al Sud, ed è quindi difficile generalizzare. Consideriamo allora un esempio specifico di piccola causa, in un tribunale tra i migliori come quello di Milano: lo sfratto del locatario moroso di un negozio. Occorrono mediamente almeno sei mesi per ottenere udienza dal giudice, dal momento in cui ne fa richiesta l’avvocato. Anche nel caso che la sentenza sia emessa alla prima udienza, per vari adempimenti possono passare sei-otto mesi prima che l’ufficiale giudiziario faccia la prima uscita e ancora altri quattro-sei mesi, se tutto va bene, perché alla terza uscita l’ufficiale vada con la “forza pubblica”. In totale, non meno di un anno e mezzo, a volte più di due, per un procedimento bizantino e farraginoso che potrebbe essere ridotto a pochi mesi. Se il proprietario è una persona fisica il danno della “mala giustizia” è davvero notevole: oltre alle spese legali dovrà continuare a pagare l’Imu, le spese condominiali e per di più, vera beffa dello Stato, dovrà pagare anche le imposte sul reddito d’affitto “teorico” non percepito, sino alla sentenza di sfratto (quindi per circa un anno, considerando che alcuni mesi passano inevitabilmente prima di rivolgersi all’avvocato). Tutti oneri fiscalmente non recuperabili da futuri introiti. Né è pensabile cercare di escutere il locatario, soprattutto per importi modesti, perché i costi legali sono elevati, i tempi lunghissimi e altre imposte devono essere anticipate anche nel caso di esecutività remota. La “mala giustizia” rischia di propagarsi: ogni locatario di pochi scrupoli sa che in Italia (a Milano) si può occupare un locale commerciale per un paio d’anni senza pagare alcunché e senza conseguenze, per poi eventualmente passare ad altro locale o attività. Il “capitale sociale” viene eroso, gli onesti scherniti.
Questa situazione non danneggia solo i proprietari dei negozi “occupati”, o le banche che li hanno in garanzia e ne vedono ridotto il valore, ma il costo è pagato poi dalla collettività: è infatti inevitabile che, quanto maggiore è il rischio dell’affittanza, tanto maggiore sarà il rendimento medio richiesto dai proprietari dei negozi (che a Milano si aggira sul 7-8 per cento, tasso invero assai elevato) che poi i locatari cercheranno di ribaltare sui prezzi dei loro prodotti o servizi. L’alto rischio rende anche più difficile l’apertura di nuove attività da parte di chi non parta già da una base consolidata o non sia in grado di fornire adeguate garanzie. In generale, il nostro sistema prevede procedure volte ad assicurare la massima tutela per i debitori, ma complessità, costi e tempi finiscono per negare nei fatti e soprattutto ai piccoli quella perfetta giustizia che si vorrebbe perseguire. Cause per importi modesti dovrebbero essere soggette a procedure semplificate, sia per le notifiche alle parti che per l’esecutività delle sentenze. Nel nostro esempio, basterebbe stabilire che l’ufficiale giudiziario vada accompagnato dalla “forza pubblica” (forse basta anche solo una guardia municipale) già alla prima uscita per dare esecutività alla sentenza in poco tempo; si eviterebbe così anche il costo di ufficiali giudiziari che “visitano” più volte i morosi per “convincerli” a rispettare le sentenze e si potrebbero utilizzare quegli stessi ufficiali per compiti più utili.