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Il Tribunale di Torino e il figlio "vitellone"

Immagine del redattore: Avvocato Foscarini Marco AntonioAvvocato Foscarini Marco Antonio

E' di questi giorni una Sentenza del Tribunale di Torino che ha "tagliato" i fondi al ventiquattrenne che ha dimostrato un comportamento parassitario sfruttando la situazione di divorziati dei genitori e riusciva a mantenersi grazie all'assegno mensile versato dal padre senza doversi quindi cercare un lavoro.

Questa arriva tra le ultime sentenze in ordine al dovere di mantenimento da parte dei genitori dei figli che, pur maggiorenni non si sono ancora costruiti né hanno in seria prospettiva una loro autonomia e mostra un sostanziale mutato atteggiamento.

L’esame della giurisprudenza della Cassazione relativa ai presupposti ed alla durata del dovere dei genitori, separati o divorziati, di provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni, rivelava finora un’attitudine estremamente indulgente nei confronti dei ragazzi da parte degli ermellini. Come vedremo, infatti, la Suprema Corte, anche quando i ragazzi hanno raggiunto - e di gran lunga superato - l’età in cui dovrebbero avere terminato un ciclo di studi, anche universitari, continuava a porli a carico delle loro famiglie causando, come effetto indiretto, il protrarsi, a favore del genitore con cui i figli convivono, del diritto di abitare nella ex casa coniugale, seppure di proprietà o in comproprietà con il genitore non convivente ed onerato dell’assegno di mantenimento.

A ben vedere l’evoluzione della giurisprudenza degli anni precedenti, non è andata, come si potrebbe immaginare in una epoca di recessione economica, in una direzione più restrittiva per i giovani, in modo da renderli al più presto autonomi ma anzi, al contrario, comparando le statuizioni degli anni novanta con quelle dal 2000 in avanti, vediamo che la Cassazione si è trasformata, su questo tema, in una “grande chioccia” tesa a proteggere i più o meno giovani “pulcini”.

Con la sentenza n. 7990 del 2 settembre 1996, la Suprema Corte (senza peraltro discostarsi dalla giurisprudenza precedente) ha stabilito che: “Costituisce principio affatto consolidato - qui ribadito non ravvisandosi ragioni per discostarsene - che i genitori restano obbligati a concorrere tra loro, secondo le regole dell'art. 148 cod. civ., nel mantenimento dei figli divenuti maggiorenni qualora questi non abbiano ancora, senza loro colpa, un reddito tale da renderli economicamente autosufficienti; e che, perciò, l'obbligo gravante sui genitori di mantenere i figli minori non cessa automaticamente con la maggiore età, ma continua invariato finché i genitori (o il genitore interessato) diano la prova che il figlio ha raggiunto l'autonomia e l'indipendenza economica, oppure finchè diano la prova che il figlio è stato da loro posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, quand'anche, poi, non ne abbia tratto profitto per negligenza o per cattiva volontà ( Cass. 11 dicembre 1992 n. 13126, Cass. 3 luglio 1991 n. 7285, Cass. 29 dicembre 1990 n. 12212, Cass. 26 gennaio 1990 n. 475, Cass. 23 giugno 1988 n. 4373, Cass. 10 aprile 1987 n. 3570, Cass. 14 marzo 1984 n. 1862).

Quanto all’onere della prova relativamente al raggiungimento dell’autonomia economica la sentenza citata aggiunge: “Il principio, rapportato al tema relativo alla ripartizione dell'onere della prova, comporta che il raggiungimento dell'indipendenza economica si configuri quale fatto estintivo di una obbligazione ex lege, sicché spetta al genitore che deduce la cessazione del diritto del figlio al mantenimento dimostrare che costui è divenuto autonomo ed autosufficiente, e non già all'altro genitore (od al figlio) dimostrare il persistere dello stato di insufficienza economica (così Cass. 29 dicembre 1990 n. 12212, Cass. 26 gennaio 1990 n. 475).

Questo principio, in linea di massima condivisibile, ha trovato, però, delle applicazioni parossistiche se si considera che la Cassazione (vedi Cass. n. 9109 del 30 agosto 1999) ha sì revocato il contributo al mantenimento ad un figlio osservando che tale obbligo “(…) non può protrarsi oltre ogni ragionevole limite ma dovrà alfine cessare per eventualmente riproporsi quale obbligo alimentare fondato su presupposti diversi”, ma tale statuizione riguardava un ragazzo di ben trentacinque anni che: “(…) all’epoca della decisone d’appello era ben lontano dal conseguimento della laurea in medicina nonostante frequentasse l’università da quindici anni” osservando che il ragazzo “(…) per colpevole trascuratezza o libera ma discutibile scelta non ha tratto profitto dalle concrete possibilità offertegli”.

 Nel 2002, un altro cedimento: con la sentenza n. 4765 del 3 aprile, la Cassazione, a proposito dei comportamenti colposi od inerti di un figlio per il quale la madre chiedeva la conferma del contributo al mantenimento, ha osservato, in linea generale: “(…) che il relativo accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, alle capacità, al percorso scolastico universitario e post universitario del soggetto” aggiungendo, però, che: “(…) deve escludersi in via generale che vi siano profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini, ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quantomeno nei limiti temporali in cui tali aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre che tale atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia”.

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